Copiato dal sito de "La Stampa"
Tomaso Poggio, uno dei padri della neuroscienza e professore al MIT di Boston: “I robot non saranno una minaccia per almeno altri 10 anni. Oggi è Google un potenziale pericolo”STEFANIA DI PASQUALE Stanno arrivando, anzi sono già nelle nostre case, li alleviamo senza rendercene conto. Chi sono? Sono i robot, le macchine artificiali in grado, secondo annunci più o meno strillanti e strillati di assumere il controllo delle nostre vite. Noel Sharkey, professore di Computer Science all’università britannica di Sheffield ha lanciato l’allarme: nel 2011 i robot supereranno i 18 milioni e ce li ritroveremo soprattutto nelle case, bisogna farsi trovare pronti, prepararsi all’attacco. Questo lo scenario, secondo alcuni, che ci aspetta. Ma sarà proprio così? “Raggiungeremo” quel lontano 1927 della Metropolis di Fritz Lang?
La ricerca nel campo della robotica ha registrato progressi continui nel corso degli ultimi 20 anni, piccoli ma significativi traguardi cresciuti nel tempo in modo costante, ma senza scoperte eclatanti. E abbiamo ancora tutto da imparare dal nostro cervello prima di poter pensare di costruirne uno artificiale tanto sviluppato e quindi in grado di controllarci autonomamente. Gli approcci di ricerca in questo ambito sono molti, uno dei più interessanti e innovativi è quello di Tomaso Poggio, Eugene McDermott professor presso ilDepartment of Brain Sciences del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston.
Poggio ha sviluppato un approccio teorico ai problemi della computer vision partendo dalle neuroscienze, dallo studio della fisiologia del cervello e non da criteri ingegneristici. E riguardo al futuro dei robot ha idee precise:” Negli ultimi 3-4 anni è stato dimostrato che imitare il funzionamento del cervello porta ad algoritmi che applicati all’intelligenza artificiale funzionano molto bene, quindi è un segnale che siamo sulla buona strada. Ho sempre detto che capire cos’è l’intelligenza, com’è, come funziona, e quindi creare macchine intelligenti che la imitino è un problema molto difficile. Non mi aspetto che sarà risolto nei prossimi 10 anni. Ci vorrà molto di più”.
Già perché tra noi e un robot c’è una differenza sostanziale che si chiama capacità di apprendimento. Le ricerche di Poggio vanno proprio in questo senso, la sfida è delle più ardue e affascinanti, un vero e proprio viaggio nella nostra mente che parte innanzitutto dalla memoria: “Tutti i computer hanno una memoria migliore della nostra per raccogliere informazioni. Se però memoria vuol dire imparare dall’esperienza, beh, questa è una cosa molto più complessa. Implica l’intelligenza di poter vedere un oggetto e saperlo poi riconoscere, come facciamo noi, anche in condizioni diverse da quelle in cui l’abbiamo visto.
Ma l’intelligenza artificiale si manifesta in svariati modi, il robot è quello che ci somiglia di più, ma ce ne sono altri, che, secondo Tomaso Poggio, possono essere oggi molto più insidiosi:
“Sono più pericolosi i robot che non assomigliano a noi, per esempio Google, che è la cosa in un certo senso più vicina all’intelligenza artificiale, un’entità che è entrata nella vita di tutti. Ha accesso ad una serie di informazioni su quello che facciamo, quali websites visitiamo, hanno le nostre e-mail: la nostra vita privata non è mai stata così pubblica come lo può essere adesso. Non so quanta gente se ne renda conto ma sta succedendo sempre di più, e stanno aumentando anche le telecamere. Londra per esempio ne è piena. Possiamo essere sempre più controllati. Google è uno strumento estremamente utile, ma ha una sua intelligenza o potrebbe sicuramente evolverla nel corso degli anni. Trovo quindi potenzialmente più pericolosa una cosa di questo tipo che i robot meccanici, importanti dal punto di vista industriale ma trascurabili dal punto di vista della nostra vita personale”.
Dal canto suo Google ha iniziato già da qualche tempo una riflessione su come trattare i dati raccolti e sui tempi di conservazione di questi dati. Marco Pancini, European Public Policy di Google Italy, nega la possibilità che Google diventi un pericolo per la privacy e ne ribadisce la missione positiva: “Da un punto di vista sia delle leggi in vigore sia da un punto di vista di regolamentazione dell'azienda c'è una forte limitazione dei tempi di conservazione delle informazioni. Le informazioni che noi raccogliamo per quanto riguarda gli utenti anonimi, cioè quelli che accedono senza loggarsi, non sono informazioni personali, non permettono di risalire a una persona fisica e, peraltro a Google nemmeno interessa. Quello che ci interessa è raccogliere delle informazioni in modo da fornire in modo sempre più utile per l'utente finale e sempre più sicuro. Credo che il concetto di privacy nel mondo moderno stia cambiando in modo radicale: si sta trasformando sempre più in una serie di scelte informate che devono fare gli utenti in relazione al trattamento dei loro dati. E’ un tema molto importante: la sensibilità di tutti noi sta cambiando in questi ultimi anni, e penso che questo cambiamento debba essere preso in considerazione come un dato di fatto e come un'evoluzione del nostro sentire comune".
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Menda ha detto...
Non sono daccordo.. Gugol ci vuole bene
5 marzo 2009 alle ore 20:17
afovidius ha detto...
se fossi un pastore anch'io mi prenderei cura della mie pecore XD
7 marzo 2009 alle ore 18:15